Aceto Balsamico
Tradizionale di Modena D.O.P.

Storia
di Un Sapere Antico

La storia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. è indissolubilmente legata al territorio modenese e le sue origini risalgono a un tempo lontano, attraversando secoli, usanze e definizioni.

La biossidazione acetica, ovvero il processo di produzione dell’aceto da liquidi alcolici per ossidazione atmosferica, è un’arte che l’uomo ha imparato a padroneggiare fin dai tempi più antichi.

Mosto e aceto erano d’uso comune presso Egizi, Babilonesi e Persiani.
Molte inoltre sono le testimonianze relative alla produzione e all’utilizzo di aceto presso i Greci e, successivamente, i Romani. A Roma e nell’Impero questo veniva utilizzato per la conservazione dei cibi, come medicinale e come condimento, tanto che l’acetabulum, l’ampolla contenente aceto, era sempre presente su tutte le tavole.

Così com’era presente la posca, bevanda d’uso comune nell’antica Roma che, per via della sua economicità, era diffusa presso il popolo ed i legionari. La si ricavava miscelando acqua e aceto di vino, ottenendo così una bevanda dissetante, leggermente acida, e dalle proprietà disinfettanti.

Citata nei Vangeli, di posca fu imbevuta la Sacra spugna, utilizzata dal centurione per bagnare le labbra di Gesù Cristo, agonizzante sulla croce.

Fin dal tempo degli antichi Romani, però, compaiono testimonianze scritte anche di un prodotto speciale, di un aceto diverso, molto particolare per profumi e gusto, realizzato nei territori delle odierne province di Modena e Reggio Emilia.

Columella, vissuto dal 4 al 70 d.C., nel De Rustica descrive le caratteristiche del mosto cotto prodotto in questi territori e sottolinea che il liquido agrodolce può facilmente inacidire. Per questo Columella raccomanda di ridurre il mosto di uva di almeno un terzo del volume originario per ottenere un prodotto ottimale e denso.

In epoca romana il mosto dell’uva, a seconda degli usi, poteva essere concentrato fino a tre diversi livelli. Caroenum se concentrato del 30%, Defrutum del 50% e Sapa se ridotto ad un terzo.

Con un salto di qualche centinaio di anni, sempre nella stessa zona, il monaco Donizone, descrive in De Vita Mathildis (1111-1116 d.C.) un episodio dell’anno 1046 riguardante Enrico II re di Franconia (regno comprendente in pratica tutta l’Europa centrale, nord Italia compresa) che inviò richiesta al marchese Bonifacio del Feudo di Canossa per una botticella di “quell’aceto che gli era stato lodato e che aveva udito farsi colà perfettissimo”.

Il Marchese di Canossa, chiamati i suoi artisti, fece fare in tutta fretta una scultura in argento rappresentante un carro trainato da buoi e, posta sul carro una botticella del suo aceto inviò il tutto come regalo al re che “si ebbe molto caro il magnifico dono”. Il testo del monaco Donizone è il primo documento che testimonia la presenza, sul territorio delle odierne province di Modena e Reggio Emilia, di un aceto tanto eccezionale da poter essere inviato in regalo ad un Re.

Intervista su TRC TV

Prima parte

Seconda parte

Simbolo Alchemico
degli Aceti e Acetieri

Riferendoci al simbolo alchemico degli aceti e degli acetieri, fin dall’alto medioevo si usava comunicare riguardo gli aceti mediante questo simbolo grafico universalmente riconosciuto.

I simboli alchemici erano considerati un linguaggio univoco degli elementi naturali e delle sostanze quando non esistevano conoscenze di chimica.

Durante lo scorrere dei secoli vi sono varie testimonianze che riferiscono di un aceto straordinariamente buono, prodotto nelle terre di Modena e Reggio Emilia.

Non si può sapere con certezza se quello fosse già Balsamico perché manca la documentazione oggettiva e i pareri degli storici sono discordi: senza dubbio però, quel prodotto era ben diverso dalle miscele ottenute unendo aceto di vino e sapa.

Miscele molto diffuse in quell’epoca.

A partire dal ‘500 la storia dell’Aceto Balsamico si intreccia con quella del casato degli Este. In un volume anonimo conservato alla Biblioteca Estense di Modena intitolato La Grassa. Libro de Boletini (1556) viene ricordato che nelle dispense ducali erano presenti aceti classificati a diversi livelli qualitativi da utilizzarsi secondo necessità: “agresto”, “comune”, “comune per la bocca”, “da tavolo”, “da campagna”, “per cucina”, “per gentilhomini”.

Quando gli Estensi nel 1598 si trasferirono da Ferrara a Modena, portarono con sé tutti i loro aceti, ma lì ne scoprirono un altro, sconosciuto ai più, prodotto a livello familiare e in ambienti ristretti non si sa da quanto tempo. Aveva caratteristiche diverse, un’armonia di sapori e profumi ineguagliabili e ben presto venne riconosciuta la sua eccellenza rispetto ai prodotti noti a corte fino ad allora.

Gli archivi cittadini danno grande testimonianza del movimento intorno alla produzione di un aceto diverso dal comune, e questo ritrova le origini nella più antica e genuina vocazione della gente modenese ad acetificare.

La fama di questo aceto si diffuse rapidamente, alimentata anche dall’alone di mistero intorno alla sua preparazione. È un fatto che il fascino di questo liquido buono quanto misterioso deve aver contagiato, quando si trasferì a Modena, la Corte degli Estensi che subito dimostrarono grande apprezzamento e, nei secoli a venire, diedero al balsamico una “aristocratica patente”.

Nel palazzo ducale prese così dimora nel sottotetto della torre ovest, verso San Domenico, un’acetaia alimentata con mosto “purgato e ridotto secondo la pratica”.

In quella torre maturò col tempo un prodotto eccezionale che, per la prima volta nel 1747, sui registri delle cantine segrete della Corte Estense, fu denominato Aceto Balsamico, lo stesso che era conosciuto come Aceto del Duca, denominazione segno di distinzione e preziosità.

Dal XVIII secolo in poi le notizie sul Balsamico aumentano, anche se intorno a questo prodotto permane il riserbo delle famiglie che lo possiedono. Nell’Ottocento si trovano testimonianze fondamentali riguardo l’utilizzo del solo mosto cotto per produrre quello che oggi è il Balsamico della tradizione. Tali indicazioni portano i nomi del Conte Giorgio Gallesio e dell’Avvocato Francesco Aggazzotti.

Il Conte Giorgio Gallesio, personalità eclettica in vari campi della vita pubblica e degli studi, con spiccato interesse nel settore dell’agricoltura, nel suo manoscritto, particolarmente preciso nella descrizione dell’acetaia dei Conti Salimbeni e di quanto in essa contenuto, così si esprime: «L’aceto di Modena è di due sorte, cioè aceto di mosto e aceto di vino, né pare deciso quale sia il migliore. La sola differenza che passa fra l’aceto di mosto e quello di vino sta nel primo elemento dell’operazione. Abbiamo visto che quello di mosto comincia con del mosto cotto, quello di vino con del vino, cioè con del mosto fermentato senza però essere sottoposto al fuoco».

L’Avvocato Francesco Aggazzotti, notaio e personaggio di spicco dell’ambiente modenese, è stato il primo a indicare in modo circostanziato e puntuale il procedimento da seguire per ottenere il Balsamico con l’utilizzo del solo mosto cotto. Rivestono particolare importanza due lettere in cui descrive le consuetudini produttive della sua famiglia. Questi documenti diventeranno la ricetta ufficiale e la base per il Disciplinare di Produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.

Il Metodo
di Produzione

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena si ottiene da solo mosto d’uva cotto e viene invecchiato a lungo con l’antico sistema dei Rincalzi e Travasi in antiche batterie composte da botticelle di diversi legni e scalarità.

L’avvocato Francesco Aggazzotti scrisse due lettere contenenti le indicazioni per mantenere un’acetaia e gestire le uve e le botti. Di seguito la lista dei passaggi fondamentali per ottenere un buon Aceto Balsamico Tradizionale D.O.P., secondo le indicazioni contenute in questi scritti e successivamente disciplinate:

1 – Usare solo uve native del territorio di Modena, coltivate e cresciute qui.
2 – Non pressare troppo, per evitare futuri odori e sapori sgradevoli dovuti a questo passaggio.

3 – Cuocere il mosto.
4 – Far fermentare.
5 – Travasare il liquido ottenuto nelle botti dove potrà acetificare con calma.
6 – Non avere fretta.

7 – Controllare il prodotto a cadenza regolare.
8 – Ripetere lo stesso procedimento l’anno successivo per minimo 12 anni per ottenere un prodotto ABTM D.O.P.
9 – Se hai la pazienza di aspettare 25 anni e la costanza di lavorare con cura, potrai ottenere un ABTM D.O.P. Extravecchio.

Ulteriori informazioni sul metodo di produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale ci vengono fornite dall’antica casata dei Conti Rosselli della Mirandola.

Aceto Balsamico della Mirandola

Da una gentile discendente della antica casata dei Conti Rosselli della Mirandola ho notizia che l’aceto balsamico si otteneva, per tradizione, nel seguente modo: «Ricordato che il “balsamico” della famiglia si componeva di otto vascelli di varia misura, di cui il più piccolo il migliore, al momento della vendemmia si mostavano circa 3 quintali di trebbiano che fermentava in un normale tino fino alla sollevazione delle graspe che formavano il noto “cappello”: sicuro indice per la levata immediata del mosto. Questo veniva momentaneamente posto in un tino o in mastelli di legno dopo essere passato attraverso un cestello di vimini (per trattenere eventuali semi o bucce d’uva) per essere versato in una capace caldaia di rame stagnata.

Fatto bollire insieme ad un sacchetto di ginepro e ad una grossa chiave di ferro, il mosto era ridotto ad un terzo.

Raffreddato in mastelli, il mosto cotto per inacidire era successivamente versato sulla “madre” esistente nell’apposito tino (chiuso da coperchio di legno) per subire il processo di trasformazione rimanendovi fino alla nuova vendemmia dell’anno successivo per poi essere trasferito nel vascello n. 8 dopo che il contenuto di questo era immesso nel n. 7, ecc.

Nel frattempo si eseguivano i seguenti travasi: dal vascello n. 2 si toglieva parte dell’aceto che conteneva e si immetteva nel n. 1 dal quale veniva prima tolto quello che la botticella poteva dare per il consumo dell’annata; un prodotto profumato, denso e nero.
Dal vascello n. 3 si immetteva nel n. 2 parte del liquido che conteneva e così di seguito fino al n. 8. Nel vascello n. 8 che restava semivuoto per il trapasso nel vicino vascello n. 7, si versava come già ricordato quel mosto cotto che da un anno era contenuto con la “madre” nel tino apposito collocatovi al tempo della vendemmia per la trasformazione in aceto».

La Tradizione Oggi

La realtà odierna presenta uno scenario più decifrabile rispetto al passato. Accanto al Balsamico Tradizionale prodotto da centinaia di famiglie nella quiete del loro sottotetto, si trovano in vendita due distinti aceti, neppure fra loro comparabili: l’Aceto Balsamico di Modena IGP e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P.

I due prodotti derivano dalla stessa tradizione produttiva che nel tempo si è specializzata e differenziata seguendo le richieste del mercato. L’Aceto Balsamico IGP, apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo è prodotto con un processo di invecchiamento più veloce e in botti di grossa dimensione, quindi per quantitativi molto più grandi, utilizzando come materia prima una miscela di mosto di uva concentrato o cotto e aceto di vino. L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P., invece, è frutto di solo mosto cotto per lunghissimo invecchiamento in piccole botti in batteria.

Classificazioni

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. (12 anni)

Invecchiato per almeno 12 anni con l’antico sistema dei Rincalzi e Travasi in vascelli costituiti da legni diversi.

Identificato da capsule di colore amaranto e commercializzato all’interno della classica bottiglia ideata dal designer Giorgetto Giugiaro.

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. (25 anni)

Invecchiato per almeno 25 anni (Extravecchio), con l’antico sistema dei Rincalzi e Travasi in vascelli costituiti da legni diversi.

Identificato da capsule di colore oro e commercializzato all’interno della classica bottiglia ideata dal designer Giorgetto Giugiaro.

Il Disciplinare

Seguendo il filo della tradizione la gente modenese continua ad acetificare, e lo fa seguendo regole ben precise. Attualmente per poter commercializzare l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. è necessario attenersi alle regole descritte nelDisciplinare di Produzione.

Nel Disciplinare di Produzione vengono esposti tutti i criteri da seguire durante il processo di produzione, i vitigni da utilizzare e i legni adatti ad ogni fase dell’invecchiamento. Ad esempio, per produrre il Tradizionale si possono utilizzare mosti provenienti dai seguenti vitigni e i seguenti legni.

Vitigni: Lambrusco (tutte le varianti o cloni), Ancellotta, Trebbiano (tutte le varianti o cloni), Sauvignon, Sgavetta, Berzemino Occhio di gatta.
Legni: Rovere, Castagno, Ciliegio, Gelso, Ginepro, Robinia, Frassino.

Acetieri

Passione, pazienza e saper fare. Attualmente esistono un Consorzio di Tutela, alcuni enti ed una
Consorteria che hanno l’obiettivo di tutelare e promuovere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena come prodotto di eccellenza.

Il Consorzio dell’Aceto Balsamico Tradizionale riunisce la quasi totalità dei produttori che partecipano così, con il proprio impegno quotidiano produttivo e commerciale, alla divulgazione del prodotto e delle sue peculiarità.

-> Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P.
-> Consorteria Aceto Balsamico Tradizionale Spilamberto
-> Museo del Balsamico Tradizionale Spilamberto
-> Acetaia Comunale di Modena